Uncharted: la recensione
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Uncharted: la recensione

Aggiornamento: 1 nov 2022

Mentre lavora come barista, borseggiando a tempo perso i ricchi clienti, Nathan Drake (Tom Holland) viene avvicinato da un vecchio amico di suo fratello Sam, l’esperto cacciatore di tesori Victor Sullivan (Mark Walhberg). Sullivan ha bisogno dell’aiuto di Nathan per cercare un bottino ormai ritenuto scomparso, l’oro di Magellano, un tesoro mastodontico su cui ha posato gli occhi anche il bieco mecenate Moncada (Antonio Banderas).


 

Era il 2007 quando i californiani Naughty Dog (già autori della saga di Crash Bandicoot, Jak & Dexter e dell’acclamato The Last of Us) debuttarono sulla neonata PlayStation 3 con Uncharted: Drake’s Fortune, primo episodio di una saga destinata a fare breccia nei cuori dei fans del monolite nero di casa Sony.

Il successo clamoroso di Uncharted: Drake’s Fortune si doveva principalmente (oltre al gameplay) alla verve del suo protagonista, una specie di Indiana Jones moderno con più sense of humor, quel Nathan Drake che ben presto diverrà un’icona videoludica di mamma PlayStation.

Era inevitabile che Hollywood prima o poi s’interessasse al franchise (che attualmente ha all’attivo 4 capitoli più uno spin-off), cercando di produrre nel 2010 un primo film con alla regia David O. Russell (The Fighter, American Hustle).

Tuttavia Russell nel 2011 abbandonò il progetto per “divergenze creative” con Sony, anche l’attore ingaggiato come protagonista si tirò indietro: Mark Wahlberg era stato scelto da Russell (con cui aveva già collaborato in The Fighter) nel ruolo di Nathan Drake, ironia della sorte dieci anni dopo lo ritroviamo nel film nel ruolo dell’amico/mentore di Drake, Sullivan.

Il film, quindi, rimase in un limbo creativo per parecchio tempo, quando nel 2017 venne annunciato che Tom Holland, attore lanciatissimo da Sony nel ruolo del nuovo Spider-Man, vestirà i panni di un giovane Nate in quella che dovrebbe essere una origin story.

Il resto, come si suol dire, è storia…

Avevamo già parlato delle nostre aspettative sul film di Uncharted, accennando al fatto che il matrimonio tra Hollywood e il mondo dei videogiochi non sempre è andato a buon fine.

Ebbene, purtroppo anche Uncharted non sfugge a questa regola non scritta.

Ma andiamo con ordine.


Il regista Ruben Fleischer in passato ci aveva deliziato con quel gioiello che era Benvenuti a Zombieland (2009), un’opera prima che prendeva gli stilemi classici dei film sugli zombie e li trasformava in una commedia irriverente e ispirata, grazie anche ad un cast d’eccezione che vedeva un Woody Harrelson mattatore assoluto.

Se con Gangster Squad (2013) il regista proveniente da Washington ci aveva condotto nella Los Angeles di fine anni 40 in un action-noir dalle modeste pretese (ma dal cast ricchissimo, da Sean Penn a Josh Brolin passando da Ryan Gosling a Emma Stone), è con Venom (2018) che Fleischer incassa il suo primo vero successo commerciale.

Sulla carta, quindi, sembrerebbe il regista giusto per portare su schermo le avventure di Drake e soci.



E invece, esattamente come il film sul Protettore Letale acerrimo nemico dell’Uomo Ragno, Fleischer fa il madornale errore di andare troppo di fretta, spingendo troppo sul pedale dell’acceleratore quando dovrebbe essere più introspettivo e frenando bruscamente quando invece servirebbe più enfasi.

Il difetto più clamoroso della trasposizione cinematografica di Uncharted, quindi, è il ritmo con cui gli eventi vengono messi in scena.

Tutto è sbrigativo e raffazzonato, altalenante e discontinuo: il primo incontro tra Drake e Sully,l’introduzione del personaggio di Chloe Frazer (Sophia Taylor Ali), le motivazioni del villain interpretato da Banderas fino allo showdown finale che vede il nostro protagonista in uno dei pochissimi momenti ispirati della pellicola.

Non si sa bene dove voglia andare a parare PlayStation Productions (neonata divisione cinematografica di Sony) con questo Uncharted, se fare un prequel mischiando elementi dal terzo e dal quarto capitolo videoludico, oppure aprire una specie di multiverso (termine tanto in voga ultimamente) distaccandosi completamente dai videogiochi.

Quello che sappiamo è che la scelta del cast è stata alquanto poco ispirata.

Tom Holland non riesce a togliersi di dosso il costume di Spider-Man e risulta molto poco credibile in un personaggio che non è nelle sue corde.

E’ vero che Nathan in questo film ci viene presentato come un esploratore novello alle primissime armi, tuttavia Holland sembra piuttosto spaesato e poco convincente come erede di Sir Francis Drake, nonostante il suo evidente sforzo fisico nel fare (quasi) tutti gli stunt.

Di rimando anche Mark Wahlberg non sembra troppo a suo agio nel ruolo di Sully, con quel fisico muscoloso e lo sguardo sempre cupo, paradossalmente sembrerebbe più Drake di Holland stesso, ragion per cui era stato scelto per il primo adattamento di dieci anni fa.

Ultimo ma non ultimo il villain, l’insipido Moncada portato in scena da un Antonio Banderas in evidente vacanza premio, probabilmente l’annoiato attore spagnolo era convinto di stare sul set di Spy Kids piuttosto che in un film d’azione/avventura.

Oltre ad una sceneggiatura (scritta a SEI mani) che non aiuta il regista nella fruibilità del prodotto, l’impressione è che sia venuta a mancare l’idea che sta alla base del videogioco Uncharted: l’avventura.

La forza della saga videoludica di Naughty Dog era proprio quella di buttarci nel vivo dell’azione, sia essa esplorativa o di pura forza bruta, grazie anche a degli script creati ad arte per valorizzare Nathan Drake e i co-protagonisti che lo accompagnavano di volta in volta.

Il film, invece, valorizza la strada della noia trasformando la prima prova cinematografica di Drake in una sorta di cinefumetto vecchio di almeno quindici anni, prendendo le distanze (e non si sa nemmeno perché) dall’epicità della saga originale, risultando anche poco ispirato per il pubblico generalista come film d’azione a sé stante.


Uncharted, purtroppo, porta avanti il leitmotiv delle trasposizioni videoludiche che non centrano l’obiettivo sul grande schermo.

Il materiale per un Indiana Jones del ventunesimo secolo c’era tutto: azione, avventura e ironia sono la base di quel grande monumento che è la quadrilogia di Naughty Dog.

Il film, purtroppo, manca il bersaglio sotto tutti questi punti di vista.

L’azione c’è ma esplode letteralmente negli ultimi venti minuti (ed è praticamente quasi tutta in CGI) con un ritmo troppo epilettico, l’avventura è scialba e priva di mordente, l’ironia non è pungente e manca di verve.

Siamo quindi più sulla linea dettata dall’ultimo Tomb Raider con Alicia Vikander piuttosto che dalle parti dell’archeologo creato da George Lucas e Steven Spielberg.

Non un completo fallimento, sia chiaro: la chimica tra Holland e Walhberg c’è ed è comunque buona e la pellicola (nel suo piccolo) intrattiene, ma a conti fatti resta un film innocuo e superfluo lontano anni luce dal tono brioso della controparte videoludica.

Resta da chiedersi come sarebbe stato l’adattamento della scorsa decade con Wahlberg protagonista assoluto e con uno tra Robert De Niro o Bryan Cranston (i più papabili all’epoca) nel ruolo di Victor Sullivan.

Probabilmente avremmo avuto un film più autentico e ben più fedele al materiale di partenza, David O. Russell è un autore, Ruben Fleischer invece è un mestierante che riesce a fare bene solo con sceneggiature di buon livello.

L’augurio è che Sony e PlayStation Productions aggiustino il tiro con un probabile sequel, visti gli ottimi incassi di questo primo film.


VOTO FINALE: 5

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