Black Panther: Wakanda Forever, la recensione
top of page

Black Panther: Wakanda Forever, la recensione

La prematura scomparsa di Re T’Challa ha scombussolato la vita della principessa Shuri (Letitia Wright) e del Wakanda intero. Mentre il paese ha perso il suo protettore, Black Panther, nuovi nemici si affacciano all’orizzonte in cerca di vibranio, il metallo più resistente del mondo che ha nel Wakanda il suo fornitore principale.

 

La morte di Chadwick Boseman ha scosso i fans di tutto il mondo e ha messo con le spalle al muro i vertici dei Marvel Studios, con il mammasantissima Kevin Feige costretto ad operare una scelta. Recastare il compianto attore (scomparso a 43 anni per un tumore al colon nel 2020) continuando, di fatto, il percorso narrativo della Pantera Nera, oppure continuare senza di lui omaggiando la sua figura nel modo più rispettoso possibile?


Feige e soci non ci hanno pensato su due volte, Black Panther 2 (rinominato successivamente in Black Panther: Wakanda Forever) si farà senza Boseman e senza il personaggio di T’Challa, l’attore era troppo legato al personaggio per far sì che qualcun altro prenda il suo posto.


Scelta condivisibile o meno, sta di fatto che l’eredità di Black Panther in questo sequel viene ben gestita in maniera intima, quasi familiare, come se a morire non sia solamente un membro del cast (per quanto protagonista) ma anzi, un fratello vero.

L’elaborazione del lutto da parte di Shuri (Letitia Wright) e di Ramonda (Angela Bassett) è l’idea alla base di Wakanda Forever ma è anche un giusto tributo ad un attore che ha dato anima e corpo ad un personaggio che è entrato nell’immaginario collettivo, nel bene (per i fans) e nel male (per i detrattori).


In 2 ore e 40 minuti il regista Ryan Coogler (Creed – Nato per combattere), torna sul set con un film che è sì un grande e grosso tributo a Boseman ma riesce ad essere, nel secondo e nel terzo atto, una pellicola che guarda avanti e che porta le dinamiche geopolitiche wakandiane ad un livello più elevato, col vibranio a fare da MacGuffin per far esplodere, in maniera nemmeno troppo metaforica, il fulcro dell’azione.


Senza il suo protettore principale (“Black Panther è solo un ricordo”), il Wakanda dovrà vedersela con Namor (Tenoch Huerta) e il regno subaqueo di Talocan, situato nel golfo del Messico, con la giovane Shuri che sarà costretta a prendersi le sue responsabilità: come regnante e come sorella.

Coogler, quindi, riesce a descrivere sapientemente le dinamiche di questi due regni, pescando a piene mani non solo dalla cultura africana (come aveva già fatto degnamente nel primo film del 2018), ma anche dal folkore delle culture Azteche/Maya del Centro America, introducendo un personaggio importante come Namor in un contesto credibile, significativo e assolutamente coerente con l’universo cinematografico della Marvel.


Di contro, però, troviamo un ritmo della narrazione che appesantisce non poco la fruizione del film da parte dello spettatore.


Ci troviamo di fronte ad una struttura narrativa troppo antiquata, con cambi di ritmo e di direzione fin troppo caotici e spezzettati con una parte centrale lenta come un elefante e pesante come un macigno. E con un terzo atto, purtroppo, fin troppo sbrigativo: si ha la sensazione, a film finito, di aver ingerito una macedonia di eventi tutti molto distaccati, legati in qualche maniera ad un sottilissimo filo narrativo molto fragile, pronto a spezzarsi da un momento all’altro.

L’eccessiva lunghezza del film, purtroppo, non aiuta la continuità narrativa rendendo il tutto molto diluito, si passa dall’introspezione all’azione più sfrenata in troppo poco tempo: nonostante delle scelte stilistiche azzeccate, alcune inquadrature degne di nota , una CGI ben più convincente di quella del primo film, tutto il terzo atto è troppo rapido e la risoluzione finale tra il Wakanda e Talocan diventa quasi una schermaglia all’acqua di rose.


Perdita, elaborazione, vendetta, perdono.

I temi principali di Black Panther: Wakanda Forever sono tutti qui, una lettera d’amore e di rispetto introspettivo nei confronti del compianto Chadwick Boseman ma anche un inno a guardare avanti e ad elaborare la perdita di un amico e di un fratello.


Al netto di un impianto scenico degno di nota, con scenografie e costumi a farla da padrona, Wakanda Forever purtroppo fallisce in parte nel suo essere eccessivamente prolisso nella fase centrale, con l'introduzione del personaggio di Riri Williams (Dominique Thorne) che, per quanto funzionale, risulta troppo lunga distraendo lo spettatore dall'incipit iniziale del film: diluendo il ritmo dell’azione, difatti, la messa in scena di un sempre bravo Ryan Coogler ne risente, portando il film ad un livello troppo confusionario e caotico.


Con una durata minore (magari un buon 40 minuti in meno), il sequel di Black Panther avrebbe portato a casa la pagnotta in carrozza, senza nessun tipo di problema. Così invece fa sì il suo dovere ma con estrema fatica, arraccando verso un finale semplificato e sbrigativo.

Un’ottima marmellata in un recipiente vecchio e ammaccato: Wakanda Forever è un buon film di genere che poteva aspirare a qualcosa di più, un "vorrei ma non posso" che non riesce a graffiare in maniera decorosa pur rimanendo nel campo della dignità più completa. Un prodotto tutto sommato onesto, con tanti sentimenti contrastanti, che però fa della schematicità il suo punto di forza.

VOTO: 7

0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page