Matrix Resurrections: la recensione
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Matrix Resurrections: la recensione

Aggiornamento: 1 nov 2022

Thomas Anderson (Keanu Reeves) è un programmatore di videogiochi, autore dell’osannato capolavoro chiamato “Matrix”, la cui vita procede abitudinaria tra il suo lavoro e le sedute dal suo analista (Neil Patrick Harris). Tuttavia l’incontro con Tiffany (Carrie-Anne Moss) risveglierà in Anderson degli strani ricordi, frammenti di una vita passata che metteranno in dubbio la sua percezione della realtà…

 

Nato nel 1999 dalla visionaria regia delle sorelle Lana e Lilly Wachowski, Matrix è un capo d’opera di rara e magnifica potenza che mischiava sapientemente il cyberpunk più puro al cinema d’azione orientale di Hong Kong e all’animazione giapponese, con richiami al Terminator di James Cameron in un tripudio di sparatorie, kung-fu e rimandi alla filosofia di Platone e Cartesio. Ovviamente, visto il clamoroso successo di pubblico e critica, la Warner Bros non ci mise troppo per mettere in produzione dei sequel, facendo girare alle Wachowski Matrix Reloaded e Matrix Revolutions contemporaneamente, per una release programmata nel 2003. Per anni le voci di un quarto capitolo si erano accavallate, tra rumors che volevano un remake, altri che volevano un reboot, chi vociferava addirittura di un film stand-alone su un giovane Morpheus interpretato da Micheal B. Jordan. Alla fine la spuntarono le Wachowski, il 20 agosto 2019 il quarto film fu annunciato ufficialmente.

Eppure si cammina sul ghiaccio sottile quando si tira fuori dalla naftalina un franchise famoso come Matrix, soprattutto a distanza di quasi vent’anni dal terzo capitolo. Lana Wachowski, stavolta senza la sorella Lilly, riesce nell’impresa di dirigere un film estremamente personale, un’allegoria sul transgenderismo che non vuole cambiare il concetto stesso della Matrice per com’era stata ideata originariamente, anzi la rielabora e la trasforma in un’opera ben più ambiziosa nei toni e nel significato intrinseco del film stesso. Era più facile cedere al fanservice più spietato e più becero per accontentare i fans del franchise, invece la Wachowski (che qui cura anche il soggetto e parte della sceneggiatura) prende la sua creatura originale e la fa evolvere, in quello che è a tutti gli effetti un sequel vero e proprio di Revolutions, usando il metacinema come atto d’amore verso il suo capostipite mettendoci in chiara difficoltà esattamente come succede al Thomas Anderson/Neo di Keanu Reeves in tutto il primo atto del film. Matrix è cambiato, si è evoluto esattamente come le sorelle Wachowski negli ultimi vent’anni, il risultato è un blockbuster intelligente e mai sopra le righe, che riesce ad essere sia cerebrale dal punto di vista narrativo, sia muscolare dal punto di vista dell’azione. Ed è questa, purtroppo, l’unica vera nota dolente del film. Al netto di una sceneggiatura corposa e di una narrazione fluida e spedita, la parte corposa del film non riesce nell’impresa di regalarci un vero e proprio “sense of wonder”, manca il ritmo e la potenza visiva dei tre film precedenti, nonostante l’impegno a livello di stunt del solito Reeves, che già con John Wick ci aveva dimostrato di saperci fare con l’action più impegnato a livello fisico. Non ci sono quindi scene d’azione memorabili come lo shootout nella hall dell’albergo del primo film, l’inseguimento in autostrada di Reloaded o lo scontro finale con Smith in Revolutions, tutto è molto scialbo e poco coinvolgente, troppo poco per un franchise che fa delle pallottole e del kung-fu il suo marchio di fabbrica.


Matrix Resurrections è un film bipolare quindi, che fa della narrazione e della messa in scena il suo pregio e il suo vanto, d’altro canto cade miseramente in quello che doveva essere il suo vero e proprio punto di forza, l’azione senza freni e senza compromessi, risultando (purtroppo) un grande esercizio di stile con i muscoli però sgonfi.

I più diranno che Resurrections è uscito troppo fuori tempo massimo, noi invece siamo dell’idea che Matrix nel 2022 doveva essere questo: uno specchio dei nostri tempi, un’allegoria digitale dove tanti non riescono più a distinguere il reale dal fittizio.

Un bellissimo guscio quindi, che al suo interno rivela però un frutto poco saporito ma bello da vedere.


VOTO FINALE: 7

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