Predator: una saga da riscoprire
- Matteo Pelli

- 9 giu 2022
- Tempo di lettura: 8 min
In uscita ad agosto, Prey di Dan Trachtenberg (10 Cloverfield Lane) segna il ritorno sulle scene del cacciatore alieno più famoso della Settima Arte. L’occasione è ghiotta per ripercorrere le tracce del Predator sin dai tempi del suo debutto, dal film del 1987 fino ad arrivare ai giorni nostri.
“Se può essere ferito, può essere ucciso.”
(Predator di John McTiernan, 1987)

La squadra d’assalto del maggiore Alan “Dutch” Schaefer (Arnold Schwarzenegger) viene ingaggiata per una missione nel cuore dell’America Centrale. L’obiettivo è apparentemente semplice per l’esperto team di Dutch: recuperare dei funzionari americani presi in ostaggio da un gruppo di ribelli armati.
Quello che Dutch non sospetta è che un cacciatore alieno in cerca di trofei è sulle loro tracce…
Il clamoroso successo di Rocky IV (di e con Sylvester Stallone) nel 1985 generò ad Hollywood tutta una serie di voci di corridoio, secondo le quali il pugile italoamericano si sarebbe scontrato con gli alieni in un ipotetico quinto film, dopo aver sconfitto l’impero sovietico nel quarto.
Una boutade, come si suol dire, nient’altro che una battuta di spirito.
Eppure lo sceneggiatore Jim Thomas, in collaborazione col fratello John, riuscì a trarre vantaggio da questa folle idea, prendendo l’ispirazione per quello che sarebbe stato Predator: la storia di un essere umano che con il solo istinto di sopravvivenza riusciva ad avere la meglio su un alieno ipertecnologico.
La sceneggiatura preliminare, intitolata semplicemente Hunter, fu quindi comprata dalla 20th Century Fox e dopo il clamoroso successo di Aliens – Scontro finale (di James Cameron) entrò ufficialmente in produzione nel gennaio del 1986.
John McTiernan, che nel 1988 sfornò un altro grande successo destinato a rimanere negli annali del cinema action (Die Hard), alla sua opera seconda riuscì a giostrare magnificamente un film dai toni muscolari e d’azione nel primo atto, per poi trasformare la pellicola in un fantahorror dai tratti cupi e brutali.
Il regista newyorkese, inoltre, non solo sa gestire i tempi dell’azione in maniera sopraffina ma riesce anche a tenere le redini di una narrazione all’insegna della tensione più totale: per circa un’ora di film non sappiamo nulla di questo fantomatico cacciatore alieno, né lo vediamo su schermo se non per pochi istanti.
Una gestione del terrore in pieno stile Hitchcockiano: il terrore ci viene presentato a piccole dosi per poi sfociare nell’orrore puro.

Predator diventa in poco tempo un caposaldo del cinema action degli anni 80, con un Arnold Schwerzenegger nel suo periodo di forma più smagliante.
La pellicola risultò uno dei maggiori incassi del 1987, lanciando la carriera del già citato McTiernan, consolidando quella dell’ex Governator e creando il mito del compianto Stan Winston.
Piccola curiosità: fu proprio Winston ad aggiustare in corso d’opera il design dello Yautja (il gergo con cui viene riconosciuta la razza aliena di Predator) dopo i disastrosi test preliminari di un riluttante Jean-Claude Van Damme. La leggenda narra che quest’ultimo venne bruscamente licenziato dopo che l’attore belga (all’epoca un signor nessuno ad Hollywood) si lamentò del goffo costume, della scarsa visibilità e del caldo soffocante derivante dal clima afoso del centro America.
Los Angeles: la giungla d’asfalto per eccellenza
(Predator 2 di Stephen Hopkins, 1990)

L.A., 1997. Il caldo torrido e soffocante dell’estate californiana non aiuta il rude tenente Harrigan (Danny Glover) a combattere il crimine dilagante in città, sotto forma di una guerra tra bande che sta mietendo vittime civili e non. A gettare benzina sul fuoco ci pensa un cacciatore Yautja giunto a Los Angeles per fare incetta di trofei, seminando una scia di cadaveri infinita e facendo brancolare nel buio il buon Harrigan e i suoi colleghi.
Dato l’incredibile successo di Predator non ci volle poi molto per mettere in cantiere un sequel. Il rifiuto di Schwarzy (per via dello script ritenuto “debole” a detta della Quercia Austriaca) tuttavia cambiò le carte in tavola, spostando il piano d’azione da una giungla ad un’altra, seppur quest’ultima assolutamente metaforica.
Da un certo punto di vista, quindi, Predator 2 funziona nel suo essere un film action violento e dissacrante ma debole nella messa in scena ed ingenuo nella sostanza, senza la minima verve che tanto contraddistingueva il predecessore.
Non un disastro totale, sia chiaro: ci sono scene d’azione che meritano di essere ricordate, come la sequenza incredibilmente horror della metropolitana o lo showdown nel mattatoio.
Quello che rende poco credibile questo film, purtroppo, è proprio il suo protagonista: Danny Glover riesce ad essere in parte come detective tutto d’un pezzo ma non è per niente a suo agio in tutto il terzo atto, ovvero il confronto finale tra Harrigan e l’alieno.
Glover non è Schwarzenegger, Hopkins non è McTiernan, tanto basta per un sequel senza mordente.
Parola d’ordine: crossover
(Alien vs Predator di Paul W.S. Anderson, 2004 & Aliens vs Predator 2 dei fratelli Strause, 2007)

Definizione di idea brillante: prendere due icone del fantahorror e farle picchiare tra di loro.
Fu nel finire degli anni 80 che la Dark Horse Comics fece il grande passo facendo scontrare gli xenomorfi creati da H.R. Giger e portati al cinema da registi del calibro di Ridley Scott e James Cameron con il mostro del momento, il Predatore per antonomasia.
Uno scontro sulla carta affascinante, che generò un’onda anomala di fumetti e di videogiochi, tra cui il bellissimo beat 'em up della Capcom Alien vs Predator del 1994.
E il cinema? L’assist lo diede proprio Predator 2: in una delle sequenze finali vediamo il teschio di un Alien appeso nella bacheca spaziale del Predator come trofeo.
Eppure non tutto quello che funziona su carta deve per forza funzionare anche su schermo, è una regola storica e, purtroppo, inviolabile.
Dopo ben 11 anni di development hell (il limbo produttivo nel quale finiscono i progetti mai finiti), la Fox decise di far incontrare, in una sorta di royal rumble cinematografica, le due razze aliene più amate di sempre. Purtroppo le aspettative della major californiana furono tradite, ma se c’è da trovare un colpevole, come direbbe il protagonista di V per Vendetta, non c’è che da guardarsi allo specchio.
Dare in mano un progetto sulla carta così ambizioso ad un mestierante come Paul W.S. Anderson (reduce dal buon successo di Resident Evil) è stato sicuramente un azzardo. Sebbene Anderson abbia scritto una sceneggiatura di per sé affascinante e con dei buoni spunti, è nella sostanza che va trovato il pelo nell’uovo.
Alien vs Predator risulta un film fallace nella sua immediatezza, una pellicola troppo frettolosa e pigra nella messa in scena, edulcorata completamente dalla violenza visiva che tanto contraddistingueva i due franchise originali. Se a questo aggiungiamo una canonizzazione altalenante e una scelta di casting alquanto discutibile (un nome su tutti: Raoul Bova), ecco qui che la mediocrità è servita.
Un vero peccato, perché al netto di questi difetti Anderson prova in tutti i modi ad essere fedele tanto alla mitologia degli xenomorfi quanto alla tradizione Yautja.

Andrà peggio tre anni più tardi.
Aliens vs Predator 2 (in originale AvP: Requiem) sposta il baricentro in territorio urbano, con l’azione che esplode tra un Predator solitario e una mandria di xeno in procinto di banchettare con le carcasse dei cittadini di un paesino di provincia.
Sbagliare è umano, perseverare è diabolico: come il predecessore, AvP 2 è un film sbagliato nel suo incipit iniziale e nella caratterizzazione dei personaggi umani (tutti macchiettistici e per giunta interpretati male). L’unico punto a favore (se proprio vogliamo trovarne uno) è una ritrovata brutalità da parte delle due creature, il sangue e il gore scorrono a fiumi con sequenze di una violenza inaudita, alcune al limite della censura (una su tutte: il reparto di maternità).
E poi tornano i pupazzoni e la messa in scena “all’antica”, tanti effetti speciali e pochi effetti visivi, il che non è mai un male, anzi...
In definitiva, sicuramente un film più sincero del predecessore ma debole nella forma oltre che nella sostanza.
Una pietra tombale sul crossover più atteso dai fans, la Fox quindi farà marcia indietro sul progetto evitandoci (per fortuna aggiungiamo noi) un probabile Alien vs Predator 3.
“Loro possono sentirci, fiutarci e vederci…”
(Predators di Nimròd Antal, 2010)

Dopo essersi risvegliato in una giungla sconosciuta, il mercenario Royce (Adrien Brody) scopre suo malgrado di essere stato “scelto”, insieme ad altre persone, da un gruppo di cacciatori Yautja in quella che sembrerebbe una riserva di caccia su un pianeta alieno. Royce e gli altri, quindi, dovranno cercare di scappare dal pianeta tentando di sfuggire alla furia sanguinaria degli alieni cacciatori.
Per anni si era parlato di un sequel ufficiale di Predator 2, prima che l’alieno creato dai fratelli Thomas finisse in quel calderone chiamato Alien vs Predator. Fu Robert Rodriguez a presentare un soggetto alla 20th Century Fox, strizzando l’occhio ad Aliens di James Cameron e chiamando volutamente il film Predators, con un plurale piuttosto esplicativo.
In una sorta di soft reboot/remake/sequel, Predators riesce ad imporsi come film di genere, migliorando nettamente la situazione cinematografica del Predator in un contesto fantahorror tanto caro ai fans della saga: il film di Nimròd Antal riesce nella disperata impresa di risollevare le sorti di un franchise apparentemente morto, regalandoci due ore di puro intrattenimento dove il sangue scorre a fiumi, gli effetti speciali prevaricano quelli visivi e dove la fisicità degli attori è messa in primo piano, esattamente come nel capostipite di McTiernan.
Manca, forse, un po’ di caratterizzazione in più dei personaggi, ridotti tutti a fare la fine del ratto in una caccia spietata all’ultimo sangue ma poco importa, il film diverte ed intrattiene nella sua semplicità, senza troppi fronzoli e con poche pretese.
Predators quindi non è altro che un grande e grosso omaggio al film con Schwarzenegger, infarcito da un cast di tutto rispetto con attori del calibro di Laurence Fishburne, Walton Goggins, Alice Braga, Topher Grace e Danny “Machete” Trejo.
La caccia si evolve… forse.
(The Predator di Shane Black, 2018)

Un pullman pieno di ex militari con problemi mentali pronti per essere spediti in un centro di igiene mentale, un cacciatore Yautja tenuto nascosto in un laboratorio e una probabile invasione aliena.
La base narrativa di The Predator è tutta qui, parola d’ordine: semplicità.
Shane Black non conosce mezze misure, questo è risaputo.
Il regista e sceneggiatore è famoso per dare quel tocco di leggerezza e ironia nelle sue opere, sia in quelle da regista (Kiss Kiss, Bang Bang, Iron Man 3, The Nice Guys), sia in quelle da scrittore.
Sulla carta era la scelta migliore per questa quarta trasposizione canonica dell’alieno cacciatore supertech, visto che Black era nel cast originale nel film del 1987. Chi meglio di lui poteva conoscere la creatura, la sua mitologia e il suo retaggio?
Nonostante Black ci provi in tutti i modi a rilanciare un personaggio che stava finendo nel dimenticatoio di Hollywood, purtroppo per lui (e per noi) il suo tentativo viene messo a dura prova da un ritmo troppo blando, macchiettistico al limite della parodia e poco convincente nella messa in scena, nonostante un paio di momenti di brutalità il film li abbia (il risveglio del Predator in laboratorio con la conseguente mattanza degli scienziati).
La pellicola risulta fracassona, inconcludente e senza ritegno con il classico tono da buddy movie tanto caro al vecchio Shane, senza però avere la forza narrativa di un Arma Letale (giusto per citare un'opera di Black, forse la più importante di tutte) qualsiasi, dimenticandosi letteralmente l'opera originaria e facendo storcere parecchio il naso ai fans della prima ora.
Eppure le buone intenzioni del regista non sono bastate per salvare The Predator dal baratro: costato 88 milioni di dollari ne incasserà a fine corsa solamente 160 (in tutto il mondo), venendo massacrato da buona parte della critica specializzata.
Troppo poco per pensare ad un ulteriore sequel, la Fox quindi dovrà cambiare di nuovo strategia.
PREY: in uscita il 5 agosto su Disney+
L’ultimo tentativo di revival del franchise arriverà il 5 agosto direttamente on demand su Disney+, dato che la Casa di Topolino ha acquisito la Fox nel 2019. Prey di Dan Trachtenberg (10 Cloverfield Lane) sposterà il centro dell’azione nell’America del 1700, una tribù di nativi americani dovrà vedersela con uno Yautja sceso in campo per macinare vittime e trofei. Un prequel a tutti gli effetti, dal trailer si evince la volontà di tornare alle origini della caccia del film originale. Vedremo se la tattica di Disney di riproporre il franchise direttamente in streaming funzionerà, ad agosto lo scopriremo.











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