Il cult della settimana: RoboCop
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Il cult della settimana: RoboCop

In una Detroit distopica e completamente distrutta dalla criminalità, la multinazionale OCP stipula un contratto con le forze dell’ordine per il mantenimento della sicurezza nelle strade.

Dopo il fallimentare collaudo di un prototipo, l’OCP metterà in cantiere il progetto “RoboCop” a seguito dell’omicidio di Alex Murphy (Peter Weller), un agente di polizia brutalmente trucidato da una gang di sadici assassini…

 

Era il 1982 quando allo sceneggiatore Edward Neumeier venne in mente l’idea alla base di RoboCop, affascinato da Blade Runner di Ridley Scott, Neumeier scrisse una prima bozza della sceneggiatura dove il protagonista era un computer che apprendeva e diventava sempre di più umano.

Fu l’incontro con l’aspirante regista Michael Miner a far sì che lo script ebbe un evoluzione: Miner, infatti, aveva scritto una sceneggiatura che parlava di un poliziotto ucciso in azione a cui venivano sostituiti gli arti mutilati con parte meccaniche.

I due script si unirono e così nacque l’idea alla base di RoboCop.

La Orion Pictures, reduce dal successo di Terminator di James Cameron, si dichiarò subito estremamente interessata al progetto proponendolo a vari registi tra cui David Cronenberg.

Fu l’olandese Paul Verhoeven, dopo un iniziale rifiuto, ad ottenere la direzione del film.

Verhoeven cercò di avere come protagonista il suo attore feticcio, il connazionale Rutger Hauer, attore lanciatissimo ad Hollywood proprio grazie a Blade Runner, ma senza successo.

Venne infine considerato l’ingaggio di Arnold Schwarzenegger ma l’attore austriaco era troppo grosso fisicamente per entrare nell’armatura di RoboCop e così fu scartato.

La scelta definitiva ricadde su Peter Weller, attore longilineo e atletico, giudicato perfetto per il ruolo anche grazie ad una mimica facciale degna di nota.


RoboCop non fu una passeggiata di salute per Weller proprio a causa del costume di scena, così ingombrante e poco pratico da indossare.

Nonostante alcune ventole installate all’interno dell’armatura creata dal mago degli effetti speciali Rob Bottin (ideatore del make-up de La Cosa di Carpenter), l’attore protagonista lamentava il caldo asfissiante e la poca praticità dei movimenti, tant’è che Verhoeven ad un certo punto pensò di licenziarlo considerando l’ingaggio di Lance Henriksen che dovette rifiutare in quanto coinvolto in altri progetti.

Le lamentele di Weller non furono le uniche gatte da pelare per il regista olandese, Verhoeven dovette fare i conti anche con l’MPAA (Motion Pictures Association of America) che impose al film un Rating-X (classificazione dedicata alla pornografia) bollandolo come un film troppo violento e sadico.

I numerosi tagli in sede di montaggio riuscirono ad abbassare il rating a “R”, ovvero ai minori di 17 anni.



Ad ogni modo la violenza nella pellicola non è stata per niente edulcorata, né nascosta più di tanto. Il sangue e il gore scorrono a fiumi: a partire dal delirante omicidio di un funzionario della OCP ad opera dell’avversario di RoboCop, il tank ED-209, passando per la tremenda esecuzione di Murphy passando per lo shootout nella fabbrica di droga, Verhoeven mette in scena uno dei blockbuster più violenti del cinema americano non rinunciando però alla satira. I telegiornali e gli spot televisivi all’interno del film fanno da contraltare alla ferocia visiva, riuscendo tal volta ad essere ben più crudeli degli omicidi stessi. RoboCop, quindi, riesce ad essere anche un film politico mostrandoci il vero lato oscuro del capitalismo più becero e sfrenato, dove le grosse multinazionali non si fanno scrupoli a far quattrini sulla pelle dei poveri cristi e dove il perdono non è assolutamente di casa.

Inoltre lo stesso personaggio di Murphy ci viene descritto quasi come se fosse una sorta di Messia: ucciso dai peccati degli uomini il nostro torna in vita per purificare, a suon di pistolettate, il male di questo mondo rappresentato dai suoi stessi aguzzini capitanati dal sadico Clarence Boddicker (Kurtwood Smith) e dal bieco dirigente dell’OCP Dick Jones (Ronny Cox).

Un tema religioso che verrà ripreso, anche se in piccola parte, nel debole sequel RoboCop 2 (1990) diretto da Irvin Kershner.


Duro, cruento, crudele, senza pietà: RoboCop non fa sconti a nessuno e non è adatto agli stomaci deboli, tuttavia, nella sua spirale di violenza e di vendetta, rimane un vero e proprio capolavoro di fantascienza distopica, unico nel suo genere nell’essere così spudoratamente action e così dannatamente critico verso un certo tipo di sistema capitalistico. Il cyberpunk puro di RoboCop di Paul Verhoeven eleva la pellicola a cult assoluto degli anni 80, consacrando il robot-poliziotto a icona della cultura pop di sempre: due sequel, una serie tv, cartoni animati, fumetti (di cui uno clamorosamente bello ad opera di Frank Miller e un crossover con Terminator), svariati videogiochi e un reboot nel 2014. Il film fu un clamoroso successo di critica e pubblico, costato 13 milioni di dollari ne incassò 53 solamente negli Stati Uniti, rendendolo uno dei maggiori incassi del 1987.

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