Max Payne: storia di un (anti)eroe americano
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Max Payne: storia di un (anti)eroe americano

Il recente annuncio da parte di Remedy di essere al lavoro con Rockstar su un remake dei primi due capitoli di Max Payne ha del clamoroso.

Ripercorriamo, quindi, la storia del tormentato poliziotto attraverso un viaggio fatto da tre titoli videoludici e un film uscito nelle sale cinematografiche nel 2008.


 

Capitolo 1: Una fredda giornata d’Inferno.



Immaginate una vita tranquilla, una bella casa, un bel lavoro, una famiglia perfetta.

Il sogno americano che si realizza.

Ora immaginate di rientrare a casa e di trovare quel sogno spezzato, la casa distrutta, moglie e figlia morti e sanguinanti nel letto.

L’inizio di un incubo: perché proprio a voi? Perché, se siete stati sempre ligi al dovere e non avete mai fatto del male a nessuno?

Quanto in basso può sprofondare un uomo per ricercare la verità?

Lo sa bene Max Payne, detective della polizia di New York a cui è stato portato via tutto, costretto ad infiltrarsi nella mafia newyorkese, scontrandosi con papponi e spacciatori di Valchiria, una nuova e potente droga allucinogena che sta devastando le strade della Grande Mela.

Un uomo da solo contro tutto e tutti, deciso a farsi strada a suon di pallottole per scoprire chi e perché ha ucciso la sua famiglia.


Il plot narrativo che Remedy ci propone è il più classico dei noir metropolitani, in una New York stretta dalla morsa del gelo invernale, un uomo che non ha più niente da perdere si getta a testa bassa contro i criminali più beceri.

Max Payne offre al giocatore un esperienza assolutamente cinematografica sotto tutti i punti di vista, la trama ma soprattutto il gameplay , un third person shooter di altissima qualità impreziosito dal famigerato bullet time, la possibilità di rallentare il tempo per prendere meglio la mira e per eseguire uccisioni spettacolari e altamente hollywoodiane.

Si vede che Sam Lake, lo sceneggiatore del gioco che ha dato anche il volto a Max, ha fatto i compiti a casa guardando più volte Matrix.

Uscito nel giugno del 2001, Max Payne fu un successo commerciale senza precedenti, un vero e proprio capostipite di tutta una serie di cloni videoludici (basti pensare a titoli come Total Overdose o WET) che, però, non arrivavano minimamente ad eguagliare l’opera di Remedy.

Nota a margine non meno importante: il gioco fu doppiato in italiano in maniera a dir poco magistrale, con un Giorgio Melazzi sugli scudi ad interpretare Max Payne.


Capitolo 2: L’amore uccide



Due anni dopo gli eventi del primo capitolo ritroviamo Max in un letto d’ospedale, agonizzante e ferito.

In un lungo flashback vediamo il nostro protagonista tornare in azione come poliziotto, coinvolto suo malgrado in una guerra tra bande.

Il ritorno sulle scene della suadente Mona Sax, creduta morta da Max, non farà altro che incasinare (anche sentimentalmente parlando) ancora di più la vita già tormentata di un uomo costretto ad imbracciare il fucile ancora una volta


Una trama non all’altezza del primo, indimenticabile, gioco. Questo va detto.

Ma, al netto di un plot non brillantissimo, ci ritroviamo tra le mani un titolo sicuramente migliorato a livello di gameplay, con il noto bullet time a farla sempre da padrone, sia a livello di fisica di gioco.

L’impatto dei proiettili sui corpi dei nemici è stato perfezionato, i movimenti di Max (che non ha più il viso di Sam Lake ed è un peccato) sono più fluidi, l’ambiente di gioco è più distruttibile.

Insomma, Max Payne 2: The Fall of Max Payne uscito nell’autunno del 2003 convince a metà, un gioco sicuramente cinematografico esattamente come il capostipite ma senza quel guizzo di narrazione che ci saremmo aspettati da Remedy.

Passeranno ben undici anni prima di rivedere Payne sugli schermi dei videogiocatori di tutto il mondo…


Capitolo 3: L’unico modo per uscirne vivo



Nove anni dopo gli eventi del secondo capitolo ritroviamo Max in piena crisi d’identità: distrutto da antidolorifici e alcolici, Payne è ancora ossessionato dai demoni del suo passato, la morte della famiglia, i sensi di colpa per aver tradito sua moglie con Mona e la consapevolezza che il peggio deve ancora venire.

Ingaggiato dal facoltoso Branco, Max volerà in Brasile per fare da guardia del corpo alla ricca famiglia, dovendo fare i conti con il rapimento delle figlie di quest’ultimo ad opera del temibile Commando Sombra.


Quattordici capitoli al fulmicotone, la lenta discesa verso gli inferi personali di un uomo completamente distrutto psicologicamente.

Straniero in terra straniera, Max dovrà fare i conti non solo con la sua psiche ma anche con la violenta realtà brasiliana fatta di favelas e povertà, in un connubio di pallottole e ottima sceneggiatura che segna un ritorno in grande stile per l’ex sbirro newyorkese.

Nonostante al timone non ci sia più Remedy, qui solo in veste di consulente visto che nel 2011 stavano sviluppando Alan Wake, le redini del franchise sono passate in mano nientemeno che a Rockstar Games, una casa videoludica che non ha bisogno di presentazioni.

Rockstar riesce a dare una svecchiata incredibile al personaggio e alla sua lore, in primis con un cambio di look piuttosto repentino (rasato a zero con barba incolta), in secondo luogo spostando l’ambientazione dalle fredde strade della Grande Mela al caldo e soleggiato Brasile, portandoci nel cuore pulsante del marciume carioca fatto di droga e criminalità organizzata.

Certo, alla sceneggiatura manca il guizzo di Sam Lake, ma Rockstar riesce a fare un lavoro egregio sia in termini di scrittura che in termini di gameplay: il motore grafico di Max Payne 3 è il RAGE (Rockstar Advanced Game Engine), in una versione riveduta e migliorata rispetto a GTA IV e Red Dead Redemption.

Quindi, gunplay con bullet time onnipresente, ambientazioni ricche di particolari, colonna sonora degna di nota, sceneggiatura di alto livello, eppure Max Payne 3 non è stato un successo clamoroso.

Il problema è da considerare nella pesante eredità del nome che si porta dietro questo titolo.

Forse è uscito troppo tardi rispetto al secondo capitolo, forse i fans si aspettavano un noir metropolitano come i predecessori, non si sa.

Quello che è certo è che il franchise aveva bisogno di un ringiovanimento e Rockstar, sotto questo punto di vista, ha fatto bene il suo lavoro.

Non ci resta che aspettare e vedere cosa combineranno con il remake dei primi due giochi.


Capitolo 4: Una storia che si ripete



Dato il clamoroso successo del franchise videoludico non ci volle molto tempo prima che la piovra di Hollywood (sotto forma della 20th Century Fox) allungasse i suoi tentacoli sul prodotto made in Remedy. Uscito nel 2008, Max Payne diretto da John Moore (regista del non memorabile Die Hard – Un buon giorno per morire) e con Mark Walhberg protagonista assoluto nei panni di Max, è una trasposizione non troppo fedele e non propriamente in linea con il primo, indimenticabile, gioco. Al netto di una fotografia non del tutto da buttare e di un Walhberg abbastanza in parte, quello che vince e convince di questo film è una cosa sola: la noia. Un film che, purtroppo, non ha preso minimamente in considerazione quello che era la parte più preponderante di tutto il franchise, ovvero l’azione e la messa in scena. Moore è un mestierante senza particolari abilità registiche, non riesce a rendere credibili le (pochissime) sparatorie del film così come non riesce a rendere giustizia ad una New York che dovrebbe essere la vera e propria co-protagonista del film. Un gran peccato perché si poteva e si doveva fare di più, l’esordio sul grande schermo di Max Payne meritava decisamente più giustizia.

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