Recensione: Assassin's Creed Mirage - radici tra le sabbie
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Recensione: Assassin's Creed Mirage - radici tra le sabbie

Ubisoft si cimenta nell’impresa di riportare Assassin’s Creed alle basi, puntando sull’esplorazione microscopica e una narrativa priva di fronzoli per esplorare il passato e le origini di Basim Ibn Ishaq. Lanciamoci in un balzo della fede e scopriamo quanto riuscito è questo tentativo.

 

Tra le dune che abbracciano le mura di Baghdad, Assassin’s Creed scava alla ricerca delle proprie – a lungo sepolte – radici. Circonciso, come la città stessa che accoglie l’avventura dell’ex ladro poi assassino Basim Ibn Ishaq, il titolo ricerca una narrativa più asciutta e priva di inutili dilungamenti, viaggi di breve durata su quattro zampe piuttosto che su navi e barche, e il sentimento nostalgico dei giocatori più affezionati alle origini della serie.


Avventurarsi in questa direzione è proprio rischioso come partire alla volta del deserto: stregare i fan di vecchia data senza sconfinare in un more of the same datato addirittura più di dieci anni e confrontarsi allo stesso tempo con chi si è abituato agli enormi open world di Origins, Odyssey e Valhalla, cercando di raggiungere una distante oasi - l’equilibrio - presso la quale trovare sollievo è più facile a dirsi che a farsi.


Ne risulta un Assassin’s Creed Mirage che saràprobabilmente divisivo tra i videogiocatori, che divertirà alcuni e lascerà l’amaro in bocca ad altri.

Crescere nella Baghdad del califfato abbaside


Reduce da un discreto successo in Valhalla, Basim afferra nelle proprie mani le redini della saga e si rende protagonista di un proprio titolo per farci vivere il passaggio da giovane ladro a saggio assassino. Mirage gioca furbescamente con il proprio titolo, non soltanto riferendosi alle possibili allucinazioni dei viandanti persi nelle dune all’esterno della città, ma accogliendo in sé sia gli incubi di Basim, lo spettro che lo perseguita, sia il concetto di illusione ideologica, di dubbio, offrendoci un protagonista puerile e privo di certezze.


L’assassino danza tra i suoi obiettivi, scuote la città nella silenziosa maniera che si addice all’assassino, facendo perdere le tracce di sé, quasi fosse lui stesso uno spettro, la sua fama raramente citata dai suoi nemici stessi, anche quando è palese che qualcuno li stia eliminando uno per volta. Se questo sia un complimento alle doti di occulto di Basim o una pigra scelta narrativa non è chiaro. I bersagli, i leader dell’Ordine, sono disomogenei in memorabilità: alcuni non lasciano il segno; altri possono colpirci e lasciare un segno nella nostra memoria.


Il risultato è una trama discreta, ma che non riesce a scalare la classifica delle più memorabili storie della saga di Assassin’s Creed nel suo complesso, in particolare in virtù di un prologo che narra a cuor leggero un’origine che avrebbe potuto esprimere meglio la propria drammaticità.


Lo stesso discorso non va fatto però per il cast di supporto a seguito degli eventi che hanno reso il protagonista un assassino: i personaggi che colorano la vita di Basim di numerose e differenti sfumatura sono ben assorbiti nella narrativa e lasciano il proprio impatto non soltanto sulle vicende di gioco, ma anche nell’animo del protagonista stesso. Ogni contatto, ogni personalità con il suo modo di essere, con il suo pensiero lo sfiora e lo trasforma, come vedremo a breve.

In questo contesto, Basim ne esce dignitosamente, come un protagonista che se la cava a discapito di alcune fasi meno interessanti: un uomo con un conflitto interiore personale ed ideologico, che non ha ancora trovato il suo posto nel mondo e non sempre lo cerca con i giusti presupposti. È un occulto che ascolta e apprende dai suoi compagni di avventura, anche coloro che sono più distanti dal suo modo di pensare, e che lascia che le parole degli altri tormentino il suo cuore piuttosto che rendersi ottusamente chiuso alla possibilità di cambiamento.


Basim è un assassino, fedele al credo, ma che riconosce nell’istituzione degli Occulti difetti da confrontare, soprattutto quando riguardanti la sua persona. Nei panni di protagonista, eleva la narrativa, dandole dalla secondo metà quel qualcosa in più che riesce ad imprimere la storia nella memoria del giocatore.


Nei distretti di Baghdad, la città è viva


Atmosfere e amore per il dettaglio sono da sempre una delle caratteristiche portanti della saga di Assassin’s Creed, e non dovrebbe dunque stupire che la rappresentazione della città di Baghdad arrisca con il proprio valore la produzione. L’ormai persa struttura circolare della città dà il senso di un abbraccio che si avvolge intorno al giocatore, garantendo quel senso di microscopico, di piccolo, di intimo che Mirage si riprometteva di catturare in maniera nostalgica.


Come sempre, l’ambiente urbano viene sfruttato perfettamente per regalare al giocatore un parkour dinamico e frenetico, seppur come spesso accade, ‘pilotato’ dalla corsa acrobatica. Sfruttando ambienti stretti, alternando saggiamente interni ed esterni, la città riesce più degli ultimi open world a catturare la smania di fuggire, l’evasione esplosiva, quel senso di doversi infilare nei luoghi più improbabili per riuscire a farla franca.

La popolazione contribuisce a dare un senso di vita all’ambiente: i passanti, con i loro commenti influenzati dal livello di notorietà, parlano del riconosciuto viso di Basim finché non ci occupiamo della sua fama; perfino le guardie diventano immediatamente più vigili e inizieranno ad insospettirsi di noi al mero atto di camminare in loro prossimità; i borseggi non portano più con sé soltanto preziose monete, ma anche diversi meravigliosi ornamenti da rivendere e oggetti collegati alle missioni secondarie; gli scrigni, i tesori, gli enigmi, non sono tutti semplice ricerca di un punto sulla mappa, ma ci richiedono di fare uno sforzo in più: di leggere e pensare. Chi è in possesso dell’unica chiave che ci consente di entrare nell’edificio dove è chiuso lo scrigno? Non è di certo l’uomo che siede pigramente fuori al medesimo locale, piuttosto ci tocca approfondire le ricerche all’interno del quartiere.


La città e gli insediamenti al di fuori delle mura ci accolgono con le Storie di Baghdad, che raccontano di miti e leggende, di storie personali, che seppur spesso troppo brevi ed immediate, contribuiscono a farci sentire parte di una popolazione viva, con uno charme irresistibile.

Le moschee diventano punti di viaggio rapido, massive ed imponenti rispetto agli edifici residenziali, sia per le dimensioni, sia per il facile accesso: le splendide, caratteristiche piastrelle colorate sono facilmente scalabili per il nostro Basim ed aggiungono indubbiamente un irresistibile tocco estetico alla scala che colpisce l’occhio. Allo stesso modo, l’utilizzo delle piastrelle rende indivisibili le moschee, facilmente riconoscibili anche dalla distanza: ci guidano nell’ombra per servire la luce, chiamandoci a sé con i loro blu.


Nell’oscurità di Baghdad percepiamo anche le più infime delle ingiustizie: l’Ordine che governa segretamente, che muove le redini, che contribuisce ad accrescere la divisione economico-sociale, sfruttandola per allontanare furbescamente gli occhi e l’attenzione da sé. La piccineria della città ci rende partecipi, ci coinvolge al punto che siamo mossi dal desiderio di eradicare questo imponente giro di corruzione fino alle radici, per strapparle dal suolo, e consentire una vivace rifioritura della nostra città amata.


La città traballa sotto le scosse di un’ottimizzazione incerta


Che i giochi di Ubisoft – ed in particolare Assassin’s Creed - non giovino di un’ottimizzazione tecnica impeccabile è più tradizione che altro. Gli iconici bug che accompagnano la serie dalle sue origini (personaggi senza pelle del viso, ritrovarsi sotto le fondamenta della città senza via di fuga, drift improvvisi, ecc.) non mancheranno in Mirage, ed anzi, ci sono alcuni punti in cui il titolo fatica perfino sulle console di ultima generazione.


In particolare, nelle sequenze in cui è impedito di ricorrere allo stealth e bisogna partecipare obbligatoriamente alla battaglia, il copioso numero di nemici mette evidentemente in difficoltà framerate e responsività del personaggio, diventando addirittura snervante. Animazioni discutibili e movimenti del corpo che non hanno mai l’aria di essere adatti alla situazione non aiutano a sentirci come se il lavoro tecnico fosse di discreto livello.

Va specificato che le prestazioni migliorano fino a far sparire quasi del tutto i problemi tecnici nell’esplorazione cittadina e, in generale, quando i nemici non sono in stato d’allarme. Qualche progresso è stato fatto anche nella risoluzione dei bug: in una situazione, ci siamo ritrovati ad essere bloccati tra giare indistruttibili a seguito di un balzo, e piuttosto che essere costretti a usare il viaggio rapido per venirne fuori (come accadeva ai tempi di Assassin’s Creed III), siamo stati direttamente riportati dal gioco al punto dal quale eravamo saltati giù.


Un combattimento snello, tipico dell’assassino


Come era forse intuibile dalle presentazioni del titolo, Mirage abbandona le tecniche complesse in combattimento per favorire un ramo di abilità che apporta unicamente migliorie ma che non richiede sforzi al giocatore. Ne risulta un gameplay più snello degli ultimi titoli, che prevede l’utilizzo di un attacco rapido e un attacco caricato (senza dover cambiare tasto, semplicemente premendo istantaneamente o in maniera prolungata), l’evasione e la parata.

Accanto al combattimento semplicistico, restano ovviamente le dinamiche proprie dell’assassino di Ubisoft: l’uccisione stealth (alle spalle, dall’alto, da nascondigli), la fuga e l’utilizzo di una serie di strumenti che arricchiscono il modo in cui approcciamo gli scontri. Dardi soporiferi, petardi, trappole… Basim ha un piccolo arsenale a disposizione che ci consentirà liberamente di scegliere in che modo vogliamo approcciare l’infiltrazione. Nulla ci vieterà, infatti, di lanciarci all’attacco in maniera fragorosa.


Si aggiunge l’introduzione della tecnica Prontezza dell’assassino che consentirà a Basim di assassinare all’istante più guardie in sequenza rapida qualora non fosse ancora stato individuato (si parte da un totale di tre, per raggiungere un massimo di cinque tramite l’albero delle abilità). La tecnica funziona in senso premiale: Basim avrà a disposizione delle barre al di sopra dei propri punti vita che si caricheranno con ogni uccisione silenziosa che porterà a compimento prima dell’individuazione. Ad ogni barra corrisponde un nemico che potrà essere ucciso attivando l’abilità. In prossimità di un gruppo di nemici, basterà attivare la Prontezza dell’assassino e selezionare in bersagli per assistere alla serie.


Invocando in maniera evidente il gameplay originale della serie, Mirage ha spogliato il gioco di molta teatralità, riportandoci a una semplicità di cui, forse, sentivamo perfino il bisogno.


Scavando, Assassin’s Creed ha ritrovato le radici


L’esperimento di Ubisoft di tornare ad un titolo contenuto, dalla sensazione di cittadina vissuta e un cuore narrative-driven è riuscito comunque a pieno. Mirage potrà non essere un gioco perfetto, ma pad alla mano, è difficile non sentirsi di quindici anni più giovani, tra i tetti di una città dall’area circoscritta, tirando via i manifesti, corrompendo con monete i predicatori, i mercenari, i passanti. La nostalgia calcia e colpisce in pieno allo stomaco, la scala ridotta rende le infiltrazioni più intime, più elaborate rispetto agli ultimi titoli.


La fortezza di Alamut è al cuore del racconto e, seppur non pienamente esplorabile, richiama e ci riporta a quando abbiamo conosciuto Altair a Masyaf e non avevamo chiaro che questa saga avrebbe scosso il panorama videoludico per oltre un decennio. Il nido dal quale le aquile volano verso i nemici della libertà concorre insieme alle scelte di gameplay a rendere il ritorno alle origini effettivo e coinvolgente.

Nonostante sia ruvido tecnicamente, Mirage potrebbe essere in parte anche un esperimento per verificare quanto sia fattibile un rifacimento dei titoli originali e quanto abbia senso proporli in vesti simili oggi.


La micro-avventura di Basim prova senza ombra di dubbio che quel gameplay e quel tipo di esplorazione sono ancora attuali e godibili.

PRO

CONTRO

- Basim Ibn Ishaq si distingue come un personaggio dinamico e incline al cambiamento, influenzato dal mondo e le persone che lo circondano;

- Un cast di personaggi secondari che giocano il proprio ruolo discretamente, segnando non solo gli eventi ma il protagonista stesso;

- Baghdad è meravigliosa e viva, dalle piccole cose alla sua rappresentazione su grande scala, la città affascina

- La nostalgia colpisce dritto al cuore; l’esperimento di tornare alle origini è riuscito perfettamente.

- L’esplorazione è indubbiamente divertente, intrattiene e stimola a curiosare, all’interno e fuori le mura della città.


-Antagonisti poco memorabili al netto di qualche eccezione

- Problemi tecnici occasionale ma fastidiosi, che vanno dal semplice bug a problemi di frame drop, fino a qualche input lag nelle sequenze di battaglia con più nemici in contemporanea su schermo;

- Il gioco non riesce mai davvero ad ingranare verso una momento narrativo pienamente soddisfacente, almeno nel modo in cui si è scelto di narrare.


Assassin’s Creed Mirage risulta un titolo divisivo che si colloca al metà tra il riuscito e ‘si poteva fare qualcosa in più’. Non è scarno di contenuti, ma se alcuni di essi sono ben curati e deliziosi, altri risultano proposti allo scopo di riempire il gioco, e non lasciano alcun segno nella memoria di chi gioca. Basim e Baghdad risplendono per qualche decina di ore, minuscoli e accoglienti, dove Assassin’s Creed era diventato forse dispersivo e confusionario, seppur con qualche difficoltà tecnica perfino su next-gen. Tra le sabbie del deserto, Mirage scava le radici della saga fino a riportarle in superficie; non stanca, ma non sempre colpisce, lasciando il giocatore con quel senso di soddisfacimento parziale che richiede un ulteriore sforzo; gioca furbescamente col concetto stesso di miraggio, illusione, incertezza, che attanagliano l’animo del protagonista. La nostalgia colpisce in modo indubbio; il gioco nella sua interezza, forse un po’ meno, riuscendo comunque a strappare qualche punto per l’indubbio divertimento che si prova ad esplorare nella città di Baghdad e le terre selvagge.


VOTO FINALE: 7.8


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