Sam Raimi: il ritorno di un genio del male
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Sam Raimi: il ritorno di un genio del male

Dopo ben undici anni di inattività Sam Raimi è tornato alla ribalta con Doctor Strange nel Multiverso della Follia, implementando il suo tocco ironico e dissacrante a tinte horror nel Marvel Cinematic Universe. Ripercorriamo, quindi, la carriera del regista statunitense partendo dal suo primo, iconico film.

 

Evil Dead: poca spesa, tanta resa.

La Casa (1981) e La Casa 2 (1987)

Cinque amici, uno chalet dove passare un tranquillo weekend di vacanza e un libro demoniaco… cosa mai potrebbe andare storto?


Soldi pochi, idee tante: Raimi con la collaborazione del fidato produttore Robert Tapert e l’amico di sempre Bruce Campbell (che diventerà il feticcio del regista negli anni a venire), confeziona un horror con il più classico degli stilemi modificando però il leitmotiv dell’epoca, che voleva il genere slasher horror con protagonista un maniaco omicida in carne e ossa (tipo Michael Myers di Halloween o Jason di Venerdì 13) sterminare i soliti quattro adolescenti in fuga, a favore di una storia sovrannaturale con demoni e spettri più o meno spaventosi.


Costato solo 350.000 dollari e prodotto nell’arco di tre anni, La Casa incassò in tutto il mondo quasi tre milioni di dollari rivelandosi un successo portentoso tanto da attirare le attenzioni delle major e dei produttori più importanti dell’epoca, come il nostrano Dino De Laurentiis. Niente male per un regista appena ventenne…


Fu proprio grazie a De Laurentiis che nel 1987 venne prodotto e distribuito La Casa 2 che, nonostante il numero nel titolo, è in realtà una sorta di soft-remake del primo film.


Stessa trama, stesso attore protagonista (sempre Bruce Campbell), stesso ritornello.


Il giovane Ash insieme alla fidanzata Linda vanno in vacanza in uno chalet, lì troveranno (per loro sfortuna) un libro maledetto denominato Necronomicon Ex-Mortis insieme ad un nastro registrato da un archeologo. Molto ingenuamente Ash riprodurrà il nastro risvegliando il potere maligno del libro, scatenando un vero e proprio incubo.


Nonostante questo sequel sembrerebbe, ad un primo sguardo, la copia carbone del predecessore, Raimi riesce a giostrare con toni da commedia slapstick e con un’ironia fuori dal comune un horror dalle tinte scure, distruttive e sicuramente splatter.


Da questo momento in poi la carriera del regista proveniente da Detroit subirà un ulteriore spinta, lanciando in tutto il mondo la figura di Bruce Campbell: il suo Ash Williams entrerà di diritto nella storia del cinema di genere.


Il cinecomic ante litteram Darkman (1990)



Peyton Westlake (Liam Neeson) è un brillante scienziato che sta elaborando una nuova pelle sintetica in grado di fare miracoli nel campo della medicina. Purtroppo Westlake diventerà il bersaglio di uno speculatore edilizio, finendo per venir bruciato vivo da una banda di criminali assoldati da quest’ultimo. Miracolosamente sopravvissuto ma terribilmente ustionato, lo scienziato deciderà di vendicarsi dei suoi aguzzini sfruttando la pelle sintetica per assumere diverse identità.


Ispirandosi molto vagamente a Il Fantasma dell’Opera e a L’Uomo Ombra (The Shadow), il quarto film di Raimi, ormai lanciatissimo a Hollywood, è un film fanta-horror con protagonista un Liam Neeson (all’epoca quarantaduenne) non ancora scoperto dal pubblico delle grandi occasioni. Sam Raimi, in un’ora e mezza al cardiopalma, mette in scena una sorta di cinefumetto ben prima che il genere esplodesse, confezionando un film cupo e pessimista senza però rinunciare alla sua solita ironia di fondo. Neeson risulta credibilissimo nel ruolo nonostante tonnellate di make-up prostetico in una pellicola che, nonostante i trentadue anni di età, risulta fresca, moderna e assolutamente iconica.


Il ritorno di Ash Williams

L’armata delle tenebre (1993)



“Secondo la profezia sarà colui che ci salverà dal terrore dei morti”


Sono queste le parole che un incredulo Ash (un Bruce Campbell più in forma che mai) sente dalla bocca di un improbabile stregone, dopo che il nostro viene catapultato in piena epoca medioevale.

Deciso a tornare nel suo tempo e armato della sua iconica motosega, Ash dovrà ritrovare il Necronomicon (sempre lui) per tornare nel futuro impedendo, nel frattempo, l’invasione di un’ondata di morti viventi.


L’armata delle tenebre chiude il ciclo delle avventure del commesso di supermarket più famoso d’America, riprendendo il viaggio di Ash laddove l’avevamo lasciato nel finale de La Casa 2.

Raimi, in forma smagliante, decide di abbandonare quasi del tutto l’horror puro e semplice a favore di una commedia dalle tinte dark e dai toni completamente folli.

Campbell, dal canto suo, ci regala una prova d’attore degna di nota tra mimiche facciali e fisiche in pieno stile Buster Keaton con battute dissacranti e assolutamente fuori contesto (“Dammi un po’ di zucchero baby!”) in un’ora e mezza di puro divertimento.


Raimi e gli spaghetti western, a metà tra l’omaggio e la parodia Pronti a morire (1995)



La cittadina di Redemption è comandata dal pugno di ferro dello spietato sceriffo John Herod (Gene Hackman) e dai suoi mercenari in un vero e proprio regno di terrore. Herod, ogni anno, organizza un torneo a eliminazione diretta per eleggere il pistolero più veloce del West uscendone, ovviamente, sempre vincitore. La giovane Ellen (Sharon Stone) decide di iscriversi al torneo per vendicare la morte del padre avvenuta per mano dello stesso Herod. Primo film a grande budget per Raimi che confeziona un omaggio al genere spaghetti western dei nostri Corbucci e Leone, mantenendo tuttavia il suo stile di regia fatto di virtuosismi di macchina tipici dei suoi prodotti precedenti. Raimi, infatti, decide di abbandonare le inquadrature tipiche del genere western, i classici campi lunghissimi tanto cari a registi come John Ford, a favore di un’ambientazione più urbana e minimalista. Peccato che la sceneggiatura non aiuti particolarmente il buon Sam, il film si rivela troppo prevedibile e la critica lo boccia. Da segnalare la presenza nel cast di un giovanissimo Leonardo Di Caprio e di Russell Crowe, all’epoca attore sconosciuto al grande pubblico, insieme a due mostri sacri come Hackman e la Stone.


L’amichevole Uomo Ragno di quartiere

Spider-Man (2002), Spider-Man 2 (2004), Spider-Man 3 (2007)



Stan Lee e Steve Ditko nel 1962 ebbero la loro personale epifania: prendere un adolescente qualsiasi e trasformarlo in un supereroe con i poteri proporzionali di un ragno.

Un’idea tanto semplice quanto efficace che ha stregato milioni di lettori in tutto il mondo, trasformando Spider-Man in un vero e proprio fenomeno culturale.

Sam Raimi era poco più di un bambino quando scoprì per la prima volta l’Uomo Ragno e l’amore che Sam prova per questo straordinario personaggio, quarant’anni dopo il suo debutto editoriale, viene fuori nel suo debutto cinematografico ad opera dello stesso Raimi, sceneggiato da David Koepp.


Fedele alla linea dettata da Lee e Ditko, Raimi partorisce il padre dei cinecomic moderni mettendo in primo piano le problematiche di Peter Parker (Tobey Maguire) mischiandole ai suoi doveri da supereroe in erba.

Nel mezzo una problematica storia d’amore con Mary Jane Watson (Kirsten Dunst) e la minaccia incombente dello psicopatico Norman Osborn (uno straordinario Willem Dafoe).

Sam Raimi, apportando delle modifiche sostanziali ma funzionali prendendo spunto da una precedente sceneggiatura di James Cameron, mette in scena un film frenetico e divertente, prendendo gli applausi di pubblico e critica premiando il film con ben 825 milioni di dollari risultando il terzo incasso del 2002 dietro a pezzi grossi come Harry Potter e la camera dei segreti e Il Signore degli Anelli: Le due torri.


Una rivincita niente male per Sam Raimi che da Pronti a morire in avanti aveva collezionato una sequenza di flop commerciali uno dietro l’altro.


Era prevedibile, quindi, che dato il clamoroso successo del primo film la Sony (detentrice dei diritti cinematografici del personaggio) mise in cantiere il sequel, uscito nel 2004.

Spider-Man 2 amplifica i concetti visti nel predecessore, Raimi qui decostruisce la figura dell’Uomo Ragno privandola della sua filosofia principale che sta alla base del personaggio: “da grandi poteri, derivano grandi responsabilità” diceva il defunto zio Ben a Peter.

Ma quando le responsabilità diventano troppe Peter dovrà fare una scelta, abbandonare il ruolo di Spider-Man a favore di un ritrovato Parker.


Raimi, quindi, va avanti con la sua linea di pensiero (che è sempre allineata con il duo Lee-Ditko) confezionando un cinecomic ancora più denso di avvenimenti ma estremamente fluido e fruibile sia per gli amanti del personaggio, sia per il pubblico generalista in un connubio di azione (basti guardare la famosa scena del treno) e sentimenti che definisce Spider-Man 2 per quello che è: un vero e proprio capolavoro del genere.


Tre anni dopo, tuttavia, ci penserà il produttore Avi Arad a rompere le uova nel paniere rendendo la vita difficile a Raimi.

L’insistenza di Arad di inserire la sottotrama del simbionte alieno, il lato oscuro di Parker col costume nero e l’ovvia presenza di un villain come Venom, rovinò i piani del regista che aveva programmato come unico e solo cattivo la presenza dell’Uomo Sabbia, con la vendetta di Harry Osborn (James Franco) pronta ad esplodere.

La troppa carne al fuoco rovinò l’esperienza sul set di Spider-Man 3, il film ne risentì a livello di densità e di ritmo, risultando fin troppo pasticciato e poco godibile rispetto ai suoi due bellissimi predecessori.


La pietra tombale sul progetto Spider-Man arrivò per Raimi alle soglie delle riprese di Spider-Man 4 (programmato per il 2011), il regista di Evil Dead abbandonò la barca per “divergenze creative” facendo sì che la Sony ripartisse da zero con The Amazing Spider-Man, uscito nel 2012.


All’inferno e ritorno

Drag Me To Hell (2009)



La giovane Christine (Alison Lohman) ambisce ad un posto di vice-direttore nella banca in cui lavora.

Per farsi notare dal suo capo, Christine rifiuta un prestito ai danni dell’anziana Sylvia Ganush, quest’ultima, sentendosi umiliata da Christine, le lancia una maledizione: lo spirito maligno noto come La Lamia renderà un vero e proprio inferno la vita della giovane.


Pochi soldi, tante idee: lo stesso ritornello de La Casa.

Raimi, dopo lo strazio produttivo che è stato Spider-Man 3, torna in pista due anni più tardi con il genere che l’ha lanciato verso il grande pubblico, l’orrore.

E se l’orrore ha un volto (per citare Marlon Brando in Apocalypse Now) è quello ironico e senza freni di un Raimi mai così divertito, completamente a suo agio in un film che fa dell’atmosfera il suo marchio di fabbrica.

Un’ora e mezza senza compromessi, Drag Me To Hell riesce ad essere allo stesso tempo divertente e spaventoso grazie anche all’uso di alcuni jumpscare strategici e per niente telefonati.


Inoltre il vecchio Sam riesce, in maniera piuttosto scaltra, ad infilarci un certo tipo di critica sociopolitica in forma satirica: il potente che si fa beffe del debole per poi pagarne le conseguenze.

Il pubblico apprezza e la critica applaude, per Raimi è l’ennesimo successo commerciale.


Somewhere over the Rainbow…

Il grande e potente Oz (2013)



Oscar Diggs (James Franco), in arte Oz, è un prestigiatore da strapazzo tanto brillante sul palco quanto col genere femminile.

Per una serie di sfortunate circostanze il mago verrà proiettato in un mondo magico e bizzarro dove ad attenderlo ci sarà una faida tra il Bene e il Male, sotto forma di due bellissime streghe.


Ideale prequel del film del 1939 con l’indimenticabile Judy Garland, Il grande e potente Oz mostra il lato completamente fantasy di un Sam Raimi ispirato solamente a tratti.

Nonostante la performance degli attori sia degna di nota, a partire da un James Franco con un’ottima faccia da schiaffi passando per una Mila Kunis bellissima quanto tremenda, il penultimo film della filmografia di Raimi da il fianco ad alcuni difetti che rendono il film intrigante nel primo atto ma soporifero nel secondo.


Non un brutto film, sia chiaro, ma l’uso troppo smodato di una CGI non sempre convincente fa sì che Raimi non si trovi del tutto a suo agio con la messa in scena.

Pur mantenendo il suo stile registico con alcune trovate estetiche prese direttamente dal suo retaggio horror (le scimmie demoni, il look della strega cattiva), il film non riesce del tutto a convincere nonostante l’incipit intrigante e la colonna sonora di un sempre bravo Danny Elfman (storico collaboratore fin dai tempi di Darkman).


Seppur Il grande e potente Oz abbia incassato discretamente non è bastato per convincere Raimi a prendere di nuovo le redini di un blockbuster, ci vorranno ben undici anni per rivedere il genio del male all’opera, con il convincente sequel del Dottor Strange (trovate la nostra recensione QUI).

Il nostro augurio è che Raimi torni al più presto, magari con un film dal basso budget, per farci ammirare di nuovo il suo innato talento registico.

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